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MISTERO

Aggiornamento: 29 apr


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a M

e alle sue magne grecie



che Mistero

non possa dirsi cosa

pur avendone il come

è vero


che Mistero

sia il nome all’angolo

sconosciuto che la cosa

sponda al pensiero

che s’annoda a un’altra cosa

è vero


che Mistero

non sappia di sé

più di quanto il nome

della cosa che indaga

e non trovando sostituisce

è vero


che Mistero in quanto tale

non dovrebbe avere un nome

ma l’indicibilità della cosa

di cui è il come

è vero


che il suo nome, Mistero

lo abbia per un'assenza

della cosa in sé

e al contempo per una dimenticanza

della cosa a sé

è vero


che, essendo come

ogni nome il lenzuolo

che copre la ferita allo spazio

della cosa in cui stare

Mistero sia anche la cosa

che nominando non saprà abitare

e abitando non può nominare

è vero


che Mistero

sia, o come o nome

in realtà l’inno

a ciò che conosce della cosa

che ignora perché nomina

è vero


che Mistero abbia sempre

in pancia o in gola

un come che testimoni

il nome del suo canto

è vero


ma che Mistero

leghi in sé

il nome alla cosa

come un nodo a una rosa

lo è altrettanto




V


Buio piombato in stanza, Mistero, sei

buio fresco appena munto dalle pareti

e versato in stanza come in un secchio

fiorito dal cucchiaio di una goccia d’oscuro

spremuto a miele sul pavimento

dal rovo agrume dell’occhio

buio come quando il sole nella retina marcia

buio come quando ti muoiono i nervi

e per dirlo ti escono le parole dalla pancia.



XV


Pienissima di visi e seni, Mistero, sei

mappa cuspide a transumanze taciute

occhi garofano persi in calce alla notte

sinodo di melodrammi alle porte del mattino

traccia di equivalenze in pancia a un segreto.


Profondissima di bocche e reni, Mistero, sei

e mi pare di leggerti tra i titoli di coda

come si può di una stella fra le anse della sera

portata in città da un minareto di navi armate

come si può un mattino portato in spalla

al cammello da un nugolo di fanatici.


Lontanissima di nei e vene, Mistero, sei

e quanta violenza c'è nella tua gloria

nella traccia umida che lasci

in sogno a quel che mi dai

Mistero, te ne accorgi, lo sai?



XVI


Altra altrissima cosa, Mistero, sei

quando ti sciogli di luce i capelli

e a me viene l'ecauristia agli occhi

dentro come un delirio.


Altra altrissima cosa, Mistero, sei

quando ti rarefai in riso i nervi

e a me viene l'ora al cuore

contro come un martirio.



XXII


Mistero: quando intuisco che stai per venire

il mio respiro comincia un odore di morte

come quello di una vacca quando si avvia al macello

e tenta un'indemonio di scalci e zoccoli

sgranando dagli occhi una selvaggina di luce

nella foggia primitiva e crudele che altera

le linee del cretto che la vita indossa come maschera.



XXIV


Male assoluto, piccolissimo male, Mistero, sei

che in arcano muti la cosa normale

e in romanico i tuoi silenzi

in anca focaia i tuoi dinieghi

con la liana d'aria spina

in idea ai tuoi appuntamenti.


Mistero, conoscere vorrei il tuorlo dei secoli

racchiusi in millennio ai tuoi momenti.



XXVII


Inizio del dolore, fine ultima dell’amore, Mistero, sei

il come sentire di non avere

i piedi in arco all’idea di dove

il vero stia e vada cadendo

ed è come volando senz’aria

in traiettoria nuda al niente

perdere tutto, subendo, mancare

è sentirsi finendo, morire, addìarsi.


Inizio di una cosa che finisce, Mistero, sei

inizio alla fine che iniziando

inizia la cosa che già inizia a finire

e se a finire è la cosa che c’è nell’amore

allora l’inizio della sua fine

con tutto l’abisso al suo precipizio

con tutto il volo di vuoto in cuore

è la cosa più bella che mi fa male

è la cosa più bella che muore.


XXIX


La cosa non detta che dici di dire, Mistero, sei

e anche quella che vuoi dire

prima di dirne un’altra

e la cosa detta che dici

nel modo e perché

in cui non la dici.


La cosa che non so che stai per dire, Mistero, sei

e il che non la dirai

e la cosa che so che forse non dici

e la cosa che non so

anche se me la dici.



XXXIV


Tu sei il genio, la creta d’ombre, Mistero

che annodi a me come un’edera

tu sei, Mistero, in ogni nome che so

l’antro al suo dedalo

e stata sempre, nel poi di quel che ho

lo sbraccio invisto di un fendente

il resto d’un miracolo attorcigliato alla realtà

l’indugio di predire l’avvenire

con cui la verità mistifica il presente.



XXXVIII


Ora che non mi dirai più il tuo fai, Mistero, sei

più o meno di prima

se anche prima, quando avresti potuto

nulla dicevi, se non qualche hai ogni tanto?


Ora che di te niente avrò detto da te, Mistero

di più forse ne saprò, sapendone di meno

se quello che non mi dirai

sarà ciò che non saprò finalmente

e se quello che avrei potuto ascoltare

sarà anch’esso di nessun peso

come è lieve il niente.



XLII


Sfrontato denso mareggio di carni, Mistero, sei

inghiaiata evirazione di obliqui sguardi

smisurata furia, goffo orlo, tagliente:

recidi la riva ai miei occhi e ardi.


Immenso delta oceanico di seni, Mistero, sei

liscio come la schiena infinita di una ciottolaia

impossibile da contenersi in un solo sguardo

smarginato per ogni lato, galattico

sfiatato di luce, indomato: ardo.



XLVII


Amarti come un mondo, Mistero,

è una vertigine d’issimo

una lunga notte di logiche rigorose

che porta ogni mio istante al ciglio

dell’abisso e l’abisso al ciglio

dell’estasi e l’estasi al ciglio

della statua e la statua al ciglio

di un fantasma e il fantasma al ciglio

dell’irreale e l’irreale al ciglio

del futuro e il futuro all’idea

che se va bene finirà male.


Mistero, vorrei, davvero, scomparire

per diventarti uguale.



XLVIII


Non so più come riconoscere le cose, Mistero

l’oggetto dal gesto, il luogo dal ricordo

io ti vedo come fossi un’ala d’universo

e in ogni cosa che vedo sei te che vedo

e questo accade perché sei il principio

che regge la coda allo strale del verso

l'icona rovente in arteria al mio credo.


Amarti è origliarti dall’uscio di un archetipo:

chiedi risposta se domando

domandi quando ti chiedo.



L


La tutta tanta, la troppo tutta, Mistero, sei

opulenta abiezione, invocata miseria

che mi porti ad amare più di me stesso

la perversa natura del viceversa

che trascini al primo strato del venire

ogni ignoto d’avvenire

che vomeri il non ancora avvenuto

con l’arpione del già capitato

e anteponi la coda del tempo

nell’ormai di ciò che ancora deve accadere.


Avido baratro, candido arcano, Mistero, sei

che non ti posso e mai intera potrò sapere.



LV


Tu sei, Mistero, l’invisto di ciò che si vede:

la parte meno lucescente di ciò che appare

ma la parte più radicale del provare

il vero senso di ciò a cui si crede.



LVII


Dormirti vicino, Mistero, è fiancheggiare un rogo

sentirsi avvolti da una vampa di "mai saprò"

sentirsi i fianchi fiammeggiare dal pogo

di arcani che volteggiano come ali di un falò.


Dormirti vicino, Mistero, è l'ustione di cui mi drogo

e in cui affogo ogni vacua verità che so.



LXIII


Ovunque tu sia ora, Mistero, resti

come un ganglio, in qualche modo

fra le funi di piombo della mia voce

l'inscioglibile, l'insolvibile nodo

che lega stretto il buio alla luce.


Ovunque tu sia ora, Mistero, resti

l'idea con cui ghigliottino

l’alba, il giorno e il secolo

e il tuo grandore per me, Mistero

resta l’assoluto con cui il falso

invisibile ostaggio del reale

si consegna in viceversa al vero.



LXVIII


Chiamami, Mistero, ancora a te

porta la lingua nella mia bocca

dissecca l'angelo della mia colpa

taglia la lingua dalla mia bocca.


Avvocami, Mistero, ancora a te

vomita il fiato nella mia bocca

prosciuga l'angelo della mia colpa

allontana la voce dalla mia bocca.


Parlami, Mistero, ancora una volta

togli la norma dalla mia bocca

sgrammatica l'angelo della mia colpa

sloggia il codice dalla mia bocca.


Reclamami, Mistero, ancora a te

dona un altro idioma alla mia bocca

incendia l'angelo della mia colpa

scaccia la grammatica dalla mia bocca.



LXX


Mistero, quale barbaro credo

mi parla il cielo quando

nuda betulla nel freddo

mi chiedo chi sei e ti chiedo?


Com’è successo che il corpo

conoscibile della realtà stia

in bulbo a un nome

e che il domandarti ragione

avvenga attraverso l’involucro

di fiato che ha in seme il suono

con cui tentare la follia

una volta ancora fallendo

di conoscere, perché dicendo

cosa, fra le fibre della vita, tu sia?


Io, credo, debba nascondersi

in un gesto così dissennato

il miracolo e la disperazione

che spinge all'azione

che ha in sé già tutto il torto

della sua orrenda ragione.




Appare evidente

dal centro di cerchio del presente

che il passato possieda la forma di una freccia

e che questa freccia si esprimi nello spazio

andando verso ora, ma partendo da prima

e non il suo contrario.


Appare evidente tuttavia

che la grazia che è in cielo

sia una maniera che abbiamo di guardare

e che la grazia sia in realtà la freccia

con cui cerchiamo di centrare

ogni cosa passata che è presente.


Risulta evidente

dal suono di pieno della tua faretra che mi arriva da lontano

che l'altra sera al Tennesee tu abbia preferito il Pernambucano

saranno state le quattro di notte

quando l'ho saputo, quando lo hai annunciato

e verso le tre il Rio delle Amazzoni

nel tuo mare si era già infiumato.


Appare evidente, ripeto, evidente

che proprio questa notte nulla di ieri

possa fare a meno di bucare

il bersaglio ovale del tessuto verbale

che ancora mi risuona nel sangue auricolare

e che s'arresta ogni volta che entrando in cuore ci rimane.


Appare evidente, dico, evidente

che il passato sia l'informazione che la vita

rilascia alla questura del cuore

per mandare bevuto il presente, appare evidente

che il passato esista a solo danno del presente

appare evidente che il passato

sia un criminale divenuto confidente.


È piuttosto evidente

che il presente diventi passato

nel momento stesso in cui viene raccontato

com'è altrettanto evidente

che il passato diventi presente

nell'esatto istante in cui lo si ascolta

se prima non se ne sapeva niente.


Del resto mi pare evidente

che le quattro di notte non sia l'istante migliore

per ricevere una freccia di passato nel bersaglio del presente

per sentirsi cadere nel subbuglio del cielo

non sia l'istante migliore

per morire trafitto dall'amore

per sognare il dolore

non sia l'istante migliore.


Appare evidente tuttavia

che la grazia che è in cielo

sia una maniera che abbiamo di guardare

e che la grazia sia in realtà la freccia

con cui cerchiamo di centrare

ogni cosa passata che è presente.


Appare evidente, ripeto, evidente

che proprio questa notte nulla di ieri

possa fare a meno di bucare

il bersaglio ovale del tessuto verbale

che ancora mi risuona nel sangue auricolare

e che s'arresta ogni volta che entrando in cuore ci rimane.


Appare evidente, in definitiva

che la vita non sia il presente migliore.

Appare evidente che il tuo arco

abbia avuto tutta l'intenzione

di scoccare la sua freccia celeste

dritta dritta nel mio cuore.



***


Collana Colombre (04)

Progetto grafico e copertina Michele Zaffarano

Tipografia Print on Web (Isola del Liri, FR)

Titolo Mistero

Autore Guido Celli

ISBN 9788898960842

Edizioni Tic (Roma)

Data di pubblicazione Aprile 2025 




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