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Immagine del redattoreGuido Celli

INTERVISTA CON GIULIANO CIAO SUL MIO APPRENDISTATO CON FLAVIO GIURATO (4/4)

Aggiornamento: 25 nov 2020

DURANTE E PER LA STESURA DELLA SUA MONOGRAFIA "FLAVIO GIURATO. LE GOCCE DI SUDORE PIÙ DURO", GIULIANO CIAO MI HA INTERVISTATO IN MERITO ALLA MIA COLLABORAZIONE, AL MIO APPRENDISTATO, CON FLAVIO. FU UN'INTERVISTA LUNGHISSIMA E GIUSTAMENTE GRAN PARTE DI ESSA NON SI TROVA NEL LIBRO USCITO CON LA CRAC EDIZIONI. NE PUBBLICO ALCUNE PARTI, IN AMORE E IN GRATITUDINE DEL MIO MAESTRO.


Altro aspetto su cui mi interesserebbe avere il tuo prezioso contributo riguarda i concerti di Flavio. Hai mai accompagnato Flavio dal vivo? in che anni? Condividi qualche ricordo legato ai concerti di Flavio a cui sei stato presente?


Ho accompagnato Flavio dal vivo una decina di volte al massimo. Sia come poeta d'apertura e d'intermezzo, sia come seconda voce. Ogni volta, al di là dell'apporto dato alla serata (sempre minimo

ed impercettibile), stecca para. Fu bellissimo accompagnarlo nel 2009 a Marcianise, dove la sala strapiena cantava a memoria le vecchie canzoni: per Flavio fu una sorpresa realmente emozionante lo

scoprire che qualcuno avesse tenuto in vita le sue canzoni in tutti quegli anni. Con Melania, l'organizzatrice, siamo diventati grandi amici, fratelli. Mi ricordo anche volentieri del primo concerto che organizzai al Beba do Samba di Roma, nel 2003, con il mio amico cantautore Emanuele Caputo Curandero. Era da tanti anni che Flavio, a parte qualche concerto organizzato da Zedda in Sardegna, non si esibiva dal vivo: vennero da tutta Italia, da Lecce e da Milano, con i vecchi dischi da farsi firmare, felici che Flavio non fosse morto come avevano temuto. Nel 2013 a Piazza Farnese a Roma, di giorno, all'aperto, partecipammo ad un concerto dedicato a Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e a tutte le vittime della violenza e della tortura di Stato. A quei tempi la canzone "Digos" non esisteva ancora, ma era già da un paio d'anni che io e Flavio, per l'episodio che ti ho già raccontato, scherzavamo sul fatto che insieme sembravamo due della Digos. Al concerto, dove io feci le seconde voci, c'era poco pubblico e per metà composto da agenti in borghese. Quando siamo saliti sul palco come prima cosa abbiamo ringraziato i "colleghi" presenti in piazza e poi abbiamo attaccato con "Centocelle".


Flavio sul palco riesce a raggiungere picchi di grande intensità emotiva. Come descriveresti le capacità di Flavio dal vivo? Che tipo di atmosfera riesce a creare Flavio? Quali sono le sue qualità di performer?


Prima di salire sul palco Flavio celebra una serie di piccoli riti, che nulla hanno a che fare con la scaramanzia, ma piuttosto con la parte spirituale del suo mettersi in corda, in tensione, in preparazione. Flavio negli anni ha sviluppato un metodo di allenamento in spazi brevi davvero preciso e massacrante. Ho potuto verificarlo sulla mia pelle. Senza la dimensione agonistica del suo fare musica, senza la sua visione sportiva, la sua agonia scientifica, Flavio non avrebbe quella, come tu la definisci, "grande intensità emotiva" che ha dal vivo. Flavio è per primo un atleta, in seconda battuta un musicista: ogni cosa la vive in trance agonistica, con la concentrazione di un battitore che, con due out e le basi piene, cerca lo swing della vittoria. Non vive il concerto come uno spettacolo, lo vive come una partita, non come un'azione, ma come un movimento. Per capire meglio i suoi concerti bisognerebbe starci accanto quando si allena sul terrazzo di casa, quando compone le canzoni nella stanza della musica, quando progetta e scrive la teoria del suo allenamento negli spazi brevi, quando prepara l'orzo, quando risuona le tre biglie di Marco Polo nell'incavo del palmo della sua mano. Solo così si capirebbe che il suo mettersi in concerto non è episodio a sé, ma parte di una storia più grande che si dipana lungo l'intero arco della sua vita.


Flavio alterna sul palco una grande concentrazione, quasi mistica, con cui interpreta le sue canzoni a una grande ironia negli intermezzi, come se volesse sdrammatizzare quell’intensità che lui stesso riesce a creare. Se ritieni veritiera questa considerazione, potresti dirmi cosa ne pensi a riguardo?


Quello che sul palco è, Flavio è. Prende sul serio la musica, la manifestazione artistica, ma mai la sua

persona. Non è questione d'umiltà, di modestia, è questione di come vede la vita.


Circa il tour de “le promesse del mondo” che mi dici? Sei stato presente alla data romana...


Ora Flavio è in tour con i ragazzi. Lo accompagnano Federico, Daniele e Mattia. Sarei dovuto andare anche io, così avrebbe voluto Flavio, così avrebbero voluto i ragazzi, ma i soldi sono pochi e ho scelto di rimanere a casa: il mio apporto, del resto, non avrebbe dato ciccia, giusto qualche fronzolo. Ho però

partecipato al concerto di apertura, in occasione del sold out alla Sala Borgna dell'Audiotrium di Roma e, dopo il disco, dopo le prove, ho avuto la netta sensazione di percepire sul palco, attorno a Flavio, l'amore, la stima, la cura che merita. I ragazzi danno un contributo unico allo spettacolo, non soltanto musicale. "Marcia nuziale", mai eseguita da Flavio dal vivo, ora, grazie ai ragazzi, gode di un nuovo e commovente arrangiamento. Chi ha ascoltato Flavio da solo o in trio, si aspetti qualcosa di ben più poderoso.

Una brutta tonsillite mi ha impedito di salire a marzo sul palco del Teatro Coppola di Catania. Avrei tanto voluto per motivi di cuore: lì Flavio fece tre anni fa il concerto più bello della sua vita, lì ci sono molti miei amici e sempre lì ho girato il video de "L'ipocrisia" e poi de "I lupi". Però ero in sala ed è stato bello vedere il teatro pieno, sentire tutto quell'amore per Flavio, ascoltare i ragazzi suonare un gran concerto.


Mi diresti tutto ciò che sai sulla modalità in cui Flavio scrive le sue canzoni? Quando lo fa, quanto ci

lavora, ci sono dei luoghi che predilige per concentrarsi, a che punto ti fa ascoltare qualcosa? Quanto ascolta i tuoi consigli? Magari hai degli esempi di canzoni nate velocemente e altre che Flavio si è trascinato negli anni...


Flavio lavora ossessivamente alle sue canzoni. Per alcune ci impiega anni e anni per finirle, suonandole, lavorandole, meditandole continuamente. E poi succede anche, più di rado, che ci metta meno di una settimana a finirne una. È il caso della title track de "Il manuale del cantautore". Flavio aveva scritto una sorta di vademecum del cantautore, un quasi manifesto, una specie di lista di consigli per il mestiere (in parte, successivamente, riportato nella seconda di copertina del disco), ma non ne era del tutto soddisfatto. Nelle sue intenzioni la parte teorica del lavoro doveva avere un peso maggiore nei bilanciamenti dell'album: il titolo lo richiedeva, l'idea che Flavio ne aveva lo esigeva. E così, all'improvviso, nacque la canzone, scritta d'urgenza, finita immediatamente. Credo ci abbia messo meno di una settimana.

Flavio mi fa ascoltare le canzoni quando già hanno una forma chiara, non quando sono soltanto melodie o frammenti. Appena assumono una prima quadratura, Flavio me le fa ascoltare. Poi inizia tutto.


Il modo in cui Flavio lavora credi sia cambiato durante tutti gli anni in cui vi conoscete? I brani di Flavio hanno una lunghezza sempre più generosa. Come ti spieghi questo aspetto?


Da quando sono entrato a bottega da Flavio non ho riscontrato, nel tempo, alcun mutamento del suo metodo di lavoro. La differenza sta nell'aumento della fluvialità del suo scrivere, nel disarginarlo ancora di più dalla tradizione della forma canzone. Questo è per me del tutto aderente alla sua coerente ricerca artistica che non è affascinata dalla durata e dal ritornello, dalle considerazioni radiofoniche e dalle tensioni bignamiche di natura promozionale. Per ascoltare Flavio bisogna avere tempo, bisogna avere curiosità, bisogna rilassare le spalle e non pensare alle bollette, al dopo scuola, ai cazzi del proprio affanno, bisogna ci si pensi prato in cielo, ci si senta immersi in un pomeriggio disabitato sia dai sussurri sia dalle grida. Ovviamente la fluvialità, alla Entry, si cerca sempre, nell'interesse del lavoro, di non blandirla eccessivamente. In tensione dialettica cerchiamo di lottarla, perché la lezione del non innamorarsi mai del materiale è sempre presente.


Fra tutte le canzoni di Flavio, o almeno fra quelle dal “manuale” in poi, ce n’è qualcuna che reputi emblematica? Qualcuna che reputi rappresentativa del suo stile, del suo modo di intendere le canzoni?

E quali sono quelle per te più belle? Perché?


Il disco che secondo me meglio rappresenta l'anima di Flavio è "Marco Polo". Il pensiero di Flavio, in

generale, ha coordinate geografiche non del tutto occidentali. Flavio ragiona sempre e moltissimo su alcuni concetti come movimento nello spazio, erranza nel tempo, accordatura del corpo, teoria dell'evoluzione, potere curativo dell'armonico, immagine, suono, silenzio, in una sorta di continua convalescenza emotiva che ha l'Oriente per meta, la musica per viaggio. La sua è una cultura sapienziale molto nomade e trasversale. Il suo è un continuo pensare all'erranza e all'andare e per farlo

Flavio cambia sempre cartine e mappe, perché pensa che non esistano sistemi di pensiero insuperabili;

sa che, storicamente, dopo Tolomeo c'è Copernico, dopo Copernico Galilei e dopo Galilei Einstein e così per sempre. Flavio è in continua ricerca, lo ripeto. In "Marco Polo" Flavio ha affrontato più a fondo il modo di Mondo ed il modo di sé che sa o che cerca di sapere.


Credi che le canzoni di Flavio, sempre dal “Manuale” in poi, abbiano delle caratteristiche peculiari, intendo da un punto di vista della struttura compositiva? Sapresti descrivere questa struttura, cioè quali sono gli elementi tipici e che si ripetono e che magari rendono il suo modo unico?


Il mio poeta preferito di sempre è, dopo Dante, Joao Cabral de Melo Neto, un poeta brasiliano della seconda metà del Novecento. Fra lui e Flavio riscontro alcuni punti in comune, come il ritorno, all'interno di un testo, di frasi o parole già accadute che al procedere della lettura o dell'ascolto danno la sensazione del rito, della cerimonia recitata intorno ad un albero ai bordi di un fiume amazzonico. L'acqua delle parole, la gittata del testo, fluisce, ma quando ritorna qualcosa di già letto, di già sentito, è come se si giungesse ad un'ansa, dove l'attenzione dell'ascoltatore, del lettore, può godere di una sosta, di un approdo, di una migliore messa a fuoco. Un tipo di narrazione fatta di ripetizioni, di ossessioni, dona sempre all'opera d'Arte una sorta di sciamaneria ritmica, una specie di ritmico sospeso, talvolta ipnotico, che, se supportato da altro, crea quella magia empatica fra il mondo creato dall'autore e quello intimo del fruitore. Questa magia è necessaria alla loro messa in contatto, in comunicazione. Sia Flavio che Joao hanno scritto e composto opere, la cui fluvialità, arginata ma poderosa, è immediatamente godibile.


Anche in virtù della tua esperienza di scrittore, mi diresti qualcosa sui testi di Flavio? Ci sono delle peculiarità che riscontri nel suo modo di scrivere? Ci sono delle cose della sua scrittura che hanno avuto influenza su di te?


Quando si entra a bottega da un Maestro, si entra garzoni, si esce artisti, spesso è inevitabile. Il peso di Flavio sulla mia scrittura è inquantificabile, non saprei dirti se, come e quanto, lavorare con lui abbia influenzato il mio modo di scrivere (anche perché lavoriamo in due campi diversi, con semine e semenze dissimili), ma certamente ha influenzato il mio modo di ragionare la scrittura.


Secondo te che posto spetta a Flavio all’interno della musica italiana? E invece per quanto riguarda la scena indipendente? Credi abbia avuto un’influenza su qualche artista?


Flavio lo ha già il suo piccolo posto nella Storia della canzone d'autore italiana. Anche se questo piccolo posto occupato dall'opera di Flavio è troppo piccolo rispetto l'effettiva dimensione del suo talento e del suo lavoro, io ritengo questa dismisura, questa disconoscenza, questa ingratitudine, del tutto naturale e logica. Credo che il mancato apprezzamento popolare dipenda dal fatto che Flavio sia sempre stato umanamente e artisticamente agli antipodi del gusto comune, al contrario delle mode, ai bordi della ricerca, ai margini della scena. Dunque trovo la scarsa riconoscenza accordata dal pubblico e dal mercato del tutto meritata. Arte e mercato, qualità e pubblico sono due mondi separati alla nascita: per farli incontrare ci vuole un po' di fegato, un po' di interesse, un po' di fame, un po' di fortuna. Flavio non ha nessuna di queste quattro qualità. Credo anche fermamente che Flavio non appartenga alla scena indipendente contemporanea, ne fa parte solo tecnicamente, dato che mantiene una totale indipendenza su quello che fa, ma non riconosco in nessun cantautore di oggi qualcosa del modo di Flavio. Non musicalmente, non letterariamente, non vocalmente. Non credo abbia eredi, ma del resto sarebbe assurdo il contrario.


Fra i tre dischi di cui abbiamo parlato quale preferisci? Perché? A prescindere dalla tua collaborazione quale credi sia il lavoro più riuscito?


Fra i suoi ultimi tre dischi, i targati Entry, i digitali, "La scomparsa di Majorana" è quello che preferisco. È un disco ostile, ma stracolmo di stile. Ha la carne in regola per diventare un classico.


Mi parleresti di eventuali progetti futuri con Flavio? Cosa bolle in pentola?


Alla Entry abbiamo tre campagne di primavera da affrontare: "Recent Happenings", un disco interamente in inglese ragionato per essere un vinile (non più di quaranta minuti la durata totale), con un lato anglosassone ed un lato americano; "The Ashlocks", un film western ambientato negli Stati Uniti dell'Ottocento, di quando i due principali sistemi produttivi, quello capitalistico del Nord e quello latifondistico del Sud, arrivarono al redde rationem; "The Invasion" un concept album, un'opera rock, in larga parte in inglese, in piccola parte in italiano, sulla conquista della Britannia da parte dell'Impero Romano.

E poi ancora: la pubblicazione di "Nuovo Marco Polo", il romanzo di Flavio scritto ai tempi della registrazione del disco e, a strappi, rilavorato nel corso di questi ultimi anni. Flavio ha avuto l'idea di farne anche una versione radiofonica. Ho contattato un regista attore catanese, Marco Sciotto, che si è dimostrato molto interessato a lavorarci e forse quest'anno riusciamo a metterla a punto, a registrarla.


Sai qualcosa del progetto di Flavio per un film western? Ti ha mai descritto che impronta visiva dovrebbe avere? C’è possibilità che si faccia? Che rapporto ha Flavio con il cinema? Quali sono i suoi riferimenti?


Mentre fare un disco non comporta oneri economici inaffrontabili da parte della Entry Edizioni Musicali, la Entry Videoproduzioni Digitali può permettersi al massimo l'acquisto di un I Mac, di una sony alpha 7II, di un buon numero di obiettivi con attacco m42 a baionetta, qualche giornata di montaggio col nostro Bruno Cipriani e poi basta. Un lungometraggio cinematografico non è neppure pensabile, è al di sopra delle nostre modestissime forze. Il Cinema è un giocattolo costosissimo, proibitivo per noi. Qualora non dovessimo, con la sceneggiatura, riuscire a convincere nessun produttore, allora registreremo le musiche del film, il commento musicale già interamente composto da Flavio e magari, perché no, daremo alle stampe la colonna sonora di un film mai girato.


Credi che Flavio, dal punto di vista artistico, abbia dei rimpianti?


Non credo ne abbia. Credo sia molto contento di quel che ha fatto e di come lo ha fatto. L'unica cosa che gli rimane in gola, forse, è la mancata pubblicazione di "Lawrence d'Arabia", il suo quarto disco. Però proprio qualche mese fa Flavio ha ritrovato i nastri dei quattro pianoforti registrati e che sarebbero dovuti essere lo scheletro fondante del lavoro. Ho affidato questi nastri a Sandro Ivessich Host, un pluripremiato fonico cinematografico, che si sta occupando del suo riversamento digitale. Non escludiamo una ripresa del lavoro, un'altra pubblicazione. Nessun rimpianto, mi pare: soltanto futuro.

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